2 miliardi di Iva bruciati
Articolo di www.ilsole24ore.com del 7 Maggio 2019
Angelo Mincuzzi e Giulio Rubino
Quei due miliardi di Iva bruciati ogni anno dai carburanti illegali
Di certo, nella vita, ci sono solo la morte e le tasse. Almeno così recita il detto, in realtà, a guardare i risultati dell’inchiesta Grand Theft Europe, progetto coordinato dalla testata tedesca Correctiv a cui Il Sole 24 Ore ha partecipato assieme ad altri 35 giornali da tutta Europa, compresa la televisione pubblica ZDF, per un impressionante numero di imprenditori senza scrupoli, le tasse non sono poi così certe. Ogni anno infatti, anche considerando soltanto l’evasione dell’Iva di cui le frodi carosello sono la parte del leone, mancano alle casse dello Stato oltre 30 miliardi di euro, una intera manovra finanziaria.
Per cui, mentre i servizi peggiorano, la pressione fiscale non scende, e ogni anno restiamo col fiato sospeso in attesa di sapere se servirà una nuova manovra correttiva, miliardi e miliardi di euro scompaiono assieme alle aziende “fantasma” che li hanno accumulati come debiti, e recuperarli per lo Stato è quasi impossibile.
Quello che davvero invece resta una certezza per tutti, e che tocca da vicino milioni di automobilisti, è il crescente prezzo del carburante, tanto che dal 2012 assistiamo a un fiorire delle cosiddette “pompe bianche”, le stazioni di servizio senza logo, non affiliate alle major del petrolio.
Queste offrono naturalmente forti sconti sul prezzo del carburante, sconti che a volte risultano davvero troppo alti visto che, secondo mercato, i prezzi dovrebbero mantenere una fluttuazione minima, visto che i margini di profitto “per litro”, fra accise e Iva al 22%, sono meno del 10% di quanto il cliente paga. Per il gestore, l’unico modo di offrire questi ribassi sui prezzi è andare sempre a caccia di fornitori più economici, una caccia che sta favorendo la crescita di un impressionante mercato illecito.
Una lettera anonima di un benzinaio del nord est pubblicata da Staffetta Quotidiana il 5 aprile di quest’anno, denuncia una situazione al limite della crisi: «Non ho idea di quanti siamo a comprare ancora nel mercato ordinario, quello legale – scrive l’anonimo imprenditore. – L’unica certezza è che siamo in minoranza, questo fatto non può essere messo in dubbio (…) gli operatori lo stanno dicendo schiettamente, è tremendo: “Sai, ormai è dura e lo fanno tutti. Se non lo fai, sei fuori dal mercato”».
La denuncia di Unione Petrolifera: troppa illegalità
Unione Petrolifera, l’associazione dei principali operatori del settore, denuncia da anni la crescita dell’illegalità nel comparto: secondo un rapporto del febbraio 2018 ogni anno entrano in Italia 3 miliardi di litri di carburante illegale, circa il 10% del totale .
Ogni anno si stimano almeno 2 miliardi di evasione dell’Iva sui carburanti, cifra che va almeno raddoppiata se si prendono in considerazione anche gli altri tipi di truffa, il contrabbando, i furti dagli oleodotti. In breve, c’è un mercato nero su questo prodotto, purtroppo irrinunciabile, da far invidia al narcotraffico, e in alcuni casi diversi crimini si sommano negli stessi giri truffaldini.
L’inchiesta della Procura di Milano
Sarebbe questo il caso dell’imprenditore Antonio Desiata, 51 anni, figlio dell’ex presidente di Generali Alfonso, oggi sotto accusa al tribunale di Milano per evasione fiscale e autoriciclaggio. Il procuratore Paolo Filippini di Milano lo ritiene deus-ex-machina di un complesso sistema di frode che gli avrebbe permesso di mettere in commercio oltre 350 milioni di litri di carburante illegale, tramite una delle aziende di cui era de facto amministratore: la Xcel Petrolium.
In primis, il contrabbando: uno dei fornitori di Desiata sarebbe stata infatti la Petroplus, l’azienda maltese gestita da Gordon Debono, uno dei broker finiti al centro dell’indagine Dirty Oil della Guardia di Finanza di Catania per aver contrabbandato gasolio con le milizie libiche di Ben Khalifa. Gli inquirenti hanno registrato una trentina di “consegne” fatte dalle navi cisterna a disposizione di Debono, navi che venivano regolarmente riempite a Malta con gasolio rubato alla Libia.
Poi, una volta in Italia, iniziava – secondo la procura di Milano – la seconda parte della truffa: il carosello delle fatture. Desiata riceveva direttamente il carburante dalla Petroplus e da altri fornitori in Slovenia e Ungheria, ma le fatture facevano un giro ben più lungo. Partendo da Petroplus (che ne falsificava l’origine) o dagli altri fornitori, la benzina arrivava a società cartiere in Europa, in Ungheria e in Slovenia, che a loro volta rivendevano alla principale “cartiera” a disposizione di Desiata, la Oilchem srl.
La Oilchem, che Desiata stesso sotto interrogatorio ha definito «un broker da cui bisognava passare per la sua capacità di trovare finanziamenti in Ungheria», comprava il prodotto, sempre in regime di sospensione di Iva, e a sua volta rivendeva alla Xcel Petrolium. Quest’ultimo passaggio, fatto in Italia, è il cuore della presunta truffa. Perchè la Oilchem vende a Xcel aggiungendo l’Iva in fattura, ma sottocosto. Un comportamento incomprensibile per un’azienda che deve fare profitti. Peccato che – secondo le indagini degli inquirenti – l’Iva pagata da Xcel a Oilchem non verrà mai versata allo Stato, ma resta un debito che si
accumula dentro l’azienda.
Lo scopo di queste frodi è infatti proprio accumulare debiti di Iva e “perdite” dentro la cartiera, tanto – ed è questa una delle principali difficoltà nel contrasto a queste frodi – nessun reato è commesso fino al giorno della dichiarazione dei redditi.
Il sistema delle “cartiere”
È normale che società broker di prodotti petroliferi accumulino debiti di Iva, per cui solo a posteriori, quando i soldi allo Stato non arrivano, si possono avviare le prime verifiche. A quel punto però, in genere, la cartiera è sparita, i suoi responsabili irragiungibili o prestanome nullatenenti, e l’Agenzia delle Entrate resta con un pugno di mosche in mano.
Difatti, quando le forze dell’ordine sono andate a fare accertamenti nella sede della Oilchem, non hanno trovato nulla, solo una stanza di 15 metri quadri, vicino all’ascensore di un centro commerciale, senza impiegati né targhe né mobili. La Oilchem, inoltre, a gennaio 2018 si è trasferita in Romania, per cui i suoi rapporti commerciali in Ungheria potrebbero tranquillamente essere ancora in piedi, i suoi clienti e i suoi fornitori completamente all’oscuro di quanto scoperto dagli inquirenti italiani.
Danilo Nastasi, il comandante del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Varese, che ha svolto le indagini, spiega che dopo le perquisizioni alla Oilchem, Desiata si era organizzato con altre società fasulle, anche quelle prontamente individuate. La società Biotechnika S.r.o. in particolare, era diventata la nuova principale cartiera a sua disposizione, fatturando in soli 8 mesi (tra febbraio e ottobre 2018) oltre 100 milioni di euro di operazioni con Xcel Petrolium.
La Xcel , in tutto questo, aveva tutte le carte formalmente a posto, e poteva scaricare tutte le responsabilità su Oilchem. Peccato che le indagini sostengano che invece si tratti di un’unica struttura, organizzata e gestita da un unico cartello di personaggi, al cui capo sarebbe Antonio Desiata stesso.
Desiata risiede a Londra, dove possiede anche un’azienda di logistica, la “I.L.S. International Logistica Services Limited”, che non ha però nessuna presenza online. Sul suo profilo LinkedIn si presenta come imprenditore della Kerotris Spa, un’altra azienda di pompe bianche, e come direttore generale della X.P. Xcel.
Petrolium srl di cui Kerotrix è proprietaria al 20%, assieme a ACP Italia srl (50%) e Med Trading AG (30%). Sarebbe proprio indagando su fondi che Kerotrix ha chiesto a Finlombardia che la procura avrebbe sniffato la presunta frode, e l’intero vaso di Pandora si è aperto.
Secondo la procura, la catena di illeciti nel caso Desiata non si sarebbe fermata neanche alla Xcel. Questa azienda a sua volta rivendeva il prodotto ad altre aziende distributrici, e qui iniziava un nuovo meccanismo di presunta frode. Le aziende che compravano da Desiata, pur essendo in Italia, compravano il carburantesenza pagare l’Iva grazie a delle lettere d’intenti in cui dichiaravano che il prodotto era destinato all’esportazione. Peccato che l’Agenzia delle Entrate abbia accertato nel frattempo che il carburante di Desiata finiva invece in pompe di benzina italiane, fra le altre in quelle a marchio Fox Fuel.
Chiesto il sequestro dei beni
Con l’Iva sui carburanti al 22%, i profitti di Desiata crescevano in fretta. La procura di Milano ha richiesto un sequestro per 53 milioni di euro nei suoi confronti che comprende uno yacht, 3 milioni sui conti correnti e 11 beni immobili, ma l’Agenzia delle Entrate gliene contesta oltre 100. Desiata, che è ora in custodia cautelare in carcere, preferisce non commentare in questa fase, ma tramite il suo legale respinge tutte le accuse.
«Dimostreremo la sua innocenza al dibattimento», risponde al Sole 24 Ore il professor Giuseppe Della Monica, suo avvocato. Il ruolo di Malta nel mercato nero del petrolio non si limita al contrabbando. Grazie a un regime fiscale molto conveniente e alla scarsa convinzione con cui le autorità locali perseguono le frodi, Malta è diventata la sede di moltissime aziende che fanno rimbalzare fatture per i giri di Iva delle frodi carosello.
Malta e il caso Maloa
È il caso della Maloa, un’azienda con sede legale a Malta e sede operativa in Svizzera che all’inizio del 2017 è finita al centro di un’importante indagine della procura di Venezia, indagine che ha poi dato vita a numerosi tronconi nelle Procure di mezza Italia.
Il caso Maloa è stato il primo ad accendere i riflettori su questo fenomeno, mostrando quanto estesa stesse diventando la pratica delle frodi carosello nel settore carburanti. Infatti gli oltre 400 milioni di litri di carburante che la Maloa avrebbe portato in Italia dalla Petrol Slovenska, l’azienda petrolifera nazionale slovena, venivano venduti da varie “pompe bianche” a prezzi troppo bassi per il normale mercato, facendo nascere sospetti nella Guardia di Finanza di Venezia che ha dato il via a una serie di controlli.
Fornitore di Maloa, oltre alla Petrol era un’altra azienda maltese, la Oiltanking Malta Ltd. Secondo la ricostruzione degli inquirenti il carburante che trattavano passava dai depositi fiscali di Ravenna e Trieste, transitava poi, ma solo su carta, per un’altra società “filtro”, sempre controllata dalla Maloa stessa, e poi arrivava Maloa, che a sua volta rivendeva ad altre ‘cartiere’ che infine vendevano ai distributori.
Ovviamente questi ultimi versavano l’Iva, che però le cartiere non versavano allo Stato. Il prezzo finale risultava comunque molto più basso del normale e i distributori, per quanto formalmente “in regola”, dovevano benissimo rendersi conto che c’era qualcosa di strano nel prezzo così economico del prodotto che acquistavano.
Alla fine delle indagini ben 37 persone sono finite sotto accusa per associazione a delinquere, evasione fiscale, omessa dichiarazione e occultamento o distruzione di scritture contabili. Gli inquirenti li accusano di aver sottratto 3 milioni di euro di accise non versate, 55 milioni di redditi sottratti all’erario e 40 milioni di Iva non versata.
Maloa probabilmente non è stata la prima a servirsi di carburante proveniente dalla Slovenia, ma è stata sicuramente un cardine per altre aziende che hanno deciso di affidarsi allo stesso sistema di truffa.
L’inchiesta della procura di Asti
Dopo l’indagine Maloa moltissime simili truffe sono state scoperte in giro per la penisola. Fra le più recenti e importanti l’indagine “Under Platts” della procura di Asti, un caso direttamente collegato alla Maloa.
La Mtk carburanti, infatti, di proprietà della famiglia Usai, era un’altra azienda “broker” che comprava all’ingrosso per rivendere alle stazioni di servizio. Maloa era il suo fornitore principale prima che venisse bloccata a Venezia. Secondo le indagini della Guardia di Finanza di Asti, coordinate dal procuratore Alberto Perduca e dal sostituto Gabriele Fiz, Mtk aveva messo in piedi un colossale sistema di operazioni false per evadere oltre 80 milioni di euro di Iva.
Anche qui – secondo le indagini -, una frode carosello in piena regola, cominciata in modo semplice, con Maloa stessa come principale fornitore, e andata via via complicandosi fino ad introdurre delle nuove tecniche, alla ricerca di sistemi che non fossero riconoscibili dalla Guardia di Finanza.
Tutto comincia nel più classico dei modi: il carburante viene acquistato da un deposito fiscale, cioè un impianto autorizzato a detenere merci sottoposte ad accisa senza ancora averla pagata, in regime di sospensione dell’Iva.
Da lì viene acquistato dalla cartiera di turno, e ne avevano parecchie a disposizione, e poi rivenduto con aggiunta di Iva, alla Mtk. In questo modo la Mtk aveva sia un “credito” di Iva, sia un’apparente trasparenza sulle sue operazioni, mentre nella cartiera si accumulavano i debiti di Iva. Come al solito, al momento della dichiarazione dei redditi la cartiera scompare, i suoi proprietari-prestanome altrettanto, e i profitti si accumulano nei conti della Mtk e dei suoi proprietari.
Tramite il loro avvocato, gli accusati respingono ogni accusa. «Tutte le operazioni sono state realizzate e documentate in conformità alla legge, ogni transazione è risultata vera e reale – risponde l’avvocato Aldo Mirate alle domande del Sole 24 Ore, senza entrare in dettagli visto lo stadio iniziale del processo -. Ritengo l’accusa rivolta ai miei clienti infondata, e spero di poterlo dimostrare nel corso del giudizio», conclude l’avvocato.
Gli inquirenti invece ritengono di trovarsi di fronte a un caso particolarmente raffinato di carosello, che è andato via via complicandosi mano a mano che nuove misure preventive di contrasto a queste frodi venivano messe in campo dalle autorità.
I nuovi meccanismi più sofisticati
Il primo “upgrade” nella complessità del meccanismo avverrebbe quando Maloa esce di scena. Mtk decide di comprare direttamente dalla Slovena Petrol, usando però due società “filtro”: la A.R.L. Srl e la World EOM Srl. Queste due, costruite in modo da sembrare credibili, con la contabilità e la sede legale in regola, vendevano a loro volta ad altre cartiere, che poi rivendevano a Mtk.
Dall’inizio del 2018 le cose si complicano ancora: per contrastare le frodi una nuova legge richiede ai depositi fiscali di esigere direttamente il pagamento dell’Iva assieme a quello delle accise. Questo significherebbe che le società cartiere sarebbero costrette a pagare subito, senza poter accumulare debiti prima di scomparire. Ma i protagonisti dei traffici lo smarrimento dura molto poco. Cominciano ad acquistare aziende reali, magari in difficoltà economiche. Non importa di cosa si occupino, perché basta fare un repentino cambio di ragione sociale e si può tranquillamente cominciare ad operare in qualsiasi settore. Queste aziende sono più difficili da riconoscere come cartiere, avendo una storia reale di pagamento di imposte. Il passaggio successivo consiste nel creare, o falsificare, un’attività di import-export. Alcune cartiere di questo tipo avevano avviato un reale commercio di fari allo Xenox con la Slovenia e la Repubblica Ceca. A questo punto, o perché realmente creato, o perché più semplicemente falsificato con dichiarazioni mendaci, la cartiera può essere registrata come “esportatore abituale”. Con questo status, possono aggirare la nuova legge e evitare di pagare subito l’Iva ai depositi fiscali, un effetto non diverso da quello ottenuto dalle aziende clienti di Desiata grazie alle lettere d’intenti.
Ma neppure questo sistema ha ingannato a lungo le forze dell’ordine, che hanno puntualmente ricostruito l’intero complicato giro di fatture, individuando la funzione di tutti gli attori in gioco. Purtroppo anche in questo caso resta quasi impossibile recuperare il bottino, che secondo la Guardia di Finanza è stato regolarmente “svuotato” dai conti dell’azienda, o con prelievi in contanti, oppure con trasferimenti su banche di Hong Kong.